La regola del gioco by Raffaele Alberto Ventura

La regola del gioco by Raffaele Alberto Ventura

autore:Raffaele Alberto Ventura [Ventura, Raffaele Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-09-14T12:00:00+00:00


Il fenomeno «woke».

Da quando il mondo si è spostato su Internet – tutto quanto: svago, lavoro, socializzazione, dibattiti e litigi – decine di parole americane sono entrate nella nostra lingua parlata o piú spesso scritta. Da cringe a blackface, passando da misgendering e appunto woke. Un termine, quest’ultimo, particolarmente controverso, se non offensivo.

Per conoscere tutte queste parole bisogna avere un master in un’università della Ivy League, o tantissime ore da perdere in rete. Ci vuole, insomma, molto capitale culturale e sociale. Tuttavia non padroneggiarle ci espone al rischio di offendere qualcuno (magari involontariamente), oltre a esporci a figuracce, errori comunicativi ed eventualmente alla minaccia piú grande: la famigerata «cancellazione».

La parola è un po’ esagerata, perché nessuno viene effettivamente cancellato di peso come i personaggi della Storia infinita dall’avanzata del Nulla. Ma sicuramente scrivere qualcosa di cringe («imbarazzante») può alienare qualche simpatia mentre fare una foto in blackface (cioè con il volto dipinto di nero nell’idea astrusa di imitare un africano) può ferire altri e distruggere una reputazione. Sebbene nessuno in Italia conoscesse la parola anche solo cinque anni fa, la Rai si è impegnata nel 2021 a non ricorrere mai piú a questa pratica dopo avere capito quanto fosse offensiva.

Quanto al misgendering (rivolgersi a qualcuno con un pronome differente da quello in cui si riconosce), non tutti sanno che viene considerato come hate speech («discorso d’odio») fin nei regolamenti di piattaforme che usiamo tutti i giorni, da Facebook a Twitter e TikTok.

In effetti la cancellazione indica uno spettro di sanzioni che va dal ban (l’essere sospesi temporaneamente o definitivamente da un social network) alla damnatio memoriae, passando da diversi fastidi intermedi: polemiche, boicottaggi, licenziamenti.

Ma chi inventa e diffonde tutte queste parole, assieme alle nuove regole di comportamento? Sono appunto i cosiddetti woke, ovvero i giovani attivisti che hanno ereditato le battaglie storiche del progressismo americano degli anni Novanta per aggiornarle all’èra di Internet. Woke nel senso un po’ mistico che si sono destati dal loro sonno dogmatico, hanno aperto gli occhi e finalmente hanno visto il tessuto di disuguaglianze di cui è fatto il mondo.

Il presupposto filosofico è quello della pragmatica linguistica, aggiornato da una seconda generazione di pensatrici e pensatori come Judith Butler: l’idea che il linguaggio plasmi il mondo.

La parola d’ordine invece è «inclusione». Si parte dalla constatazione che la società tende a escludere le minoranze. Nelle aziende, ai piani alti, si vede ben poca diversità: meno donne e pochissimi neri. La stessa dinamica si riscontra nel linguaggio: secondo alcune femministe, in italiano l’uso del maschile sovraesteso – «ciao a tutti» – contribuirebbe a escludere le donne. Quel che è certo è che ognuno di noi tende a non vedere i problemi degli altri, oltre spesso a dare per scontato – quando comunica in rete, in una pubblicità, in un libro – che il proprio interlocutore assomigli a se stesso. Se non riusciamo a farlo spontaneamente, dobbiamo comunque sforzarci di non pensare in termini di «normalità», soprattutto se la disegniamo su noi stessi, e ricordare che non sempre



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